si... si incontra sempre dell'altro, cioè penso che in ogni progetto, in ogni pensiero, in ogni azione ci sia sempre una grossa componente dell' "altro"... che è quello che generalmente viene, appositamente o automaticamente, trascurato per il fine della realizzazione del progetto stesso... ma l'altro esiste, non c'è dubbio, e lo si vede con l'uso straniante dello sguardo.
Vi chiedo... ma secondo voi... quest' "altro" è la reale plusvalenza del nostro progetto di partenza?
Prince vende le rose... con una frase... la sua è un'azione spinta da ovvie motivazioni di sopravvivenza... la camminata, cosa "ovvia", auditivamente parlando, è un ritmo continuo e ossessionante che suscita tensione, addirittura anche un pò d'ansia per l'attesa del "momento"... c'è un grande contrasto tra il rumore della sua camminata con la quiete della strada notturna... l'ingresso nell' "ambiente bar", con la musica in diffusione, è il vissuto del "momento", un gesto quotidiano visto dagli occhi e sentito dalle orecchie di Prince... ma l'effetto straniante ci regala un altro "momento".. il suono della sua voce gentile, e il suono dell'ambiente del bar contrastano creando una tensione inaspettata... il nostro udito, accoppiato a quello di prince ci fa sentire questo "ambience" piuttosto aggressivo, ostile, ossessionante... si sono invertite le parti? voglio dire... il suono della voce di prince e quello dell'"ambiente bar" creano una tensione di uguale intensità rispetto a quella della camminata?... cosa spiazzante è il fatto che questi suoni (la sua voce, la camminata e l'"ambiente bar") sono mossi entrambi da unico fine, quello commerciale.
plusvalenza della plusvalenza? U-inductio
lunedì 7 novembre 2011
domenica 6 novembre 2011
rifare da capo
quello che trovo più vitale nel lavoro che stiamo conducendo è proprio questo effetto straniamento di cui Mauro ha scritto, e che io traduco in un “ non saperne niente “, la sorpresa straniante di incontrare sempre altro da ciò che pensavamo di trovare, e poi dover smontare, aprire, scomporre; un rifare da capo, a scongiurare il rischio di alienazione; ricomporre poi lasciando qualcosa fuori posto, per indicare il metodo praticato, un invito insomma all’uso straniante dello sguardo.
SW
Note a caldo sul materiale audio di “ciao buonasera, vuoi una rosa?”
Il ritmo dell’audio è articolato da un’alternanza camminata – interazione sociale. La camminata è segnata dal fruscio della giacca, fruscio ritmico del movimento del corpo che si sposta per strade vuote, deserte. L’interazione avviene nei bar nicchia di proto socializzazione in cui la musica ne definisce il perimetro. Questo ritmo rende possibile una torsione dello sguardo. Se inizialmente il nostro sguardo si era posato sul mazzo di rose e in parallelo su Prince, accoppiandosi allo sguardo dell’avventore del bar, in una sfumatura di posizioni che vanno dal fastidio al compatimento passando per l’indifferenza di fronte alla sua presenza, successivamente il nostro sguardo trova il suo oggetto nel micro mondo di interazioni che avvengono all’interno dei bar.
Questa torsione dello sguardo produce un effetto di straniamento: ciò in cui prima potevamo immedesimarci e confonderci emerge in un effetto sorpresa. Lo straniamento costituisce un mezzo per rendere visibile l’invisibile, per rendere problematico l’ovvio.
Come l’immedesimazione fa apparire consueti i fatti eccezionali, così lo straniamento fa apparire i fatti consueti di ogni giorno. Gli avvenimenti più comuni, se presentati come assolutamente singolari, vengono spogliati della loro tediosità. [Bertold Brecht, scritti teatrali II, pag. 95]
L’effetto di straniamento è un effetto che produce meraviglia.
Ciò che qui ci interessa è riportare alla superficie e dunque rendere visibile, quello che varie sedimentazioni hanno sospinto verso il basso e dunque reso invisibile. Ci riferiamo alla dimensione implicita del legame sociale che trova nella pragmatica (contesto) il senso dell’enunciazione.
Possiamo mettere in questione il fondamento del legame sociale facendone emergere i presupposti impliciti che in quanto tali restano nascosti dal velo dell’ovvio, nascosti dal fatto stesso di darli per scontati, ovvero di ritenerli “naturali”. Che è poi il meccanismo dell’alienazione così come ce l’ha letto Marx: il mondo si presenta come reificato, prodotto non più riconosciuto come tale ma vissuto come Altro che si impone al soggetto (collettivo).
Ecco allora che lo straniamento diventa un mezzo per mostrare i legami sociali presupposti ad ogni enunciato. Spostare lo sguardo da Prince alle relazioni nei bar, consente di vedere come l’unico ad avere qualcosa da dire sia proprio lui, mentre dall’altra parte l’enunciato è un brusio, un balbettio, un’assenza.
Mauro
Ottobre caldo e l’effetto di straniamento
Siamo nel quartiere più magrebino della città, convergenti tutti dalle province del bel paese in questo coagulo sopra l’epidermide atrofizzata di Milano, una crosta di reazione immunitaria agli attacchi esterni che ha prodotto il bar all’angolo dove ci beviamo della birra fresca; il locale è gestito da cinesi di prima generazione che non hanno cambiato nulla nell’arredo trascurato e proletario ereditato dai precedenti proprietari- immagino una coppia mista, lei milanese lui dalla Puglia, che hanno aperto il bar agli inizi degli anni ottanta con la liquidazione della fabbrica - la televisione trasmette Inter Bologna, al tavolo di fianco al nostro la famiglia dei gestori consuma un pasto di zuppa di pinne di pescecane, per il bagno bisogna chiedere la chiave.
Mauro ci raggiunge, propone lo straniamento come metodo di lavoro che i nostri diversi linguaggi possono condividere.
La trovo un’ottima idea.
Al fondo del viale un gruppo di giovani nordafricani mette in scena un rito di esclusione, gesti violenti verso uno di loro che se ne va sconfitto e da solo a prendere il tram verso il centro città.
SW
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