sabato 30 aprile 2011
mercoledì 27 aprile 2011
Posso dire quello che non so?
martedì 26 aprile 2011
Fighe e paguri (pochissimi i paguri)

Cesenatico, a trovare Francesca, parlavamo di più o meno violenza nelle parole, legate al posto, in quel caso la Romagna. Così mi ha colpito una frase, qualche ora dopo quando intercettavo la conversazione di una coppia di ragazzini, accocolati su una panchina, con lei, preoccupata, che chiedeva a lui: "ma è figa da scopare?".
lunedì 25 aprile 2011
effetti di linguaggio
Non c’è mai niente e nessuno che segua la linea retta, né l’uomo né l’ameba, né la mosca, né il ramo, né niente di niente. Secondo le ultime notizie non la segue neppure il fascio di luce, del tutto solidale con la curva universale. (Jacques Lacan)
È dunque il movimento un curva? un ricciolo? Un ritorno? Ecco forse qua, nel ritorno, nel ritorno come effetto dell’andare, trovo il punto di ancoraggio da cui dire qualcosa sul linguaggio, o se volete su quell’andare che il lancio del giavellotto di Beckett lascia in sospeso fintantoché il rumore ritorna come indice di un sapere sul mondo, e forse sul lanciatore. Se assumiamo come unità di misura del linguaggio il significante, la distanza percorsa nel dire non è una pura successione, ma piuttosto trova in un effetto di ritorno la possibilità della sua significazione. Questo è correlativo al dire che un campo del sapere - una disciplina - ha come fondamento della sua coerenza interna un punto di eccezione. Questo punto di eccezione, fondamento del campo, è sia esterno che interno al campo stesso, è ciò su cui si regge il campo ma anche ciò che ne evidenzia il limite. I matematici lo chiamano assioma, noi psicoanalisti punto extimo, intimo ma straniero al soggetto. Non sono là dove il mio pensiero mi oggettivizza, mentre emerge ciò che sono quando non penso di pensare. Sono dove non penso, penso dove non sono. Questa scissione costitutiva instauratasi nell’umano a partire dall’atto freudiano si impone e annulla ogni tentativo di separare il razionale dall’emozionale, la forma dalla materia. Ma cosa impedisce ad un discorso di essere puro sembiante? Che abbia presa sul reale, che qui possiamo indicare come ciò che se ne infischia del nostro dire. Ma a quale reale ci rivolgiamo quando mettiamo in piedi un’esplorazione come quella di square? Qual è il soggetto dell’enunciazione? Da dove parla e quali effetti produce sui punti che delimitano il perimetro di square? Nell’enunciazione di ciascuno possiamo ritrovare la presenza di un significato che emerge proprio dall’atto di parola e in quanto tale si riversa, ricade come un boomerang, sul soggetto da cui proveniva. Se sufficientemente disposti alla meraviglia dell’incontro con il rimosso, possiamo accogliere come apertura l’effetto di quella sfasatura tra ciò che si voleva dire e ciò che è stato detto.
Come un relitto felice
che come sempre afasica, riluttante a scrivere, deve fare uno sforzo, un balzo, scavalcare le difficolta' di un inizio:
Più che prendere la parola, avrei voluto esserne avvolto, e portato ben oltre ogni inizio possibile. Mi sarebbe piaciuto accorgermi che al momento di parlare una voce senza nome mi precedeva da tempo: mi sarebbe allora bastato concatenare, proseguire la frase, ripormi, senza che vi si prestasse attenzione, nei suoi interstizi, come se mi avesse fatto segno, restando per un attimo sospesa. Inizi, non ce ne sarebbero dunque; e invece di essere colui donde viene il discorso, secondo il capriccio del suo svolgimento, sarei piuttosto una sottile lacuna, il punto della sua scomparsa possibile.
Mi sarebbe piaciuto che dietro a me ci fosse (avendo preso la parola da un pezzo, superando in anticipo tutto quello che sto per dire) una voce che parlasse cosi' :" Bisogna continuare, non posso continuare, bisogna dire parole finche' ce ne sono, bisogna dirle sinche' mi trovino, sinche' mi dicano -strana pena, strana colpa, bisogna continuare, è forse cosa gia' fatta, mi hanno forse gia' detto, mi hanno forse portato fino alle soglie della mia storia, dinnanzi alla porta che s'apre sulla mia storia, mi stupirei si aprisse, questa porta".
C'e' in molti, penso, un simile desiderio di non dover cominciare, un simile desiderio di ritrovarsi, d'acchito, dall'altra parte del discorso, senza aver dovuto considerare dall'esterno cio' che esso poteva avere di singolare, di temibile, di malefico forse.
Il desiderio dice:" non vorrei dover io stesso entrare in quest'ordine fortuito del discorso; non vorrei aver a che fare con esso in cio' che ha di tagliente e di decisivo; vorrei che fosse tutt'intorno a me come una trasparenza calma, profonda, indefinitivamente aperta, in cui gli altri rispondessero alla mia attesa e in cui le verita', ad una ad una, si alzassero; non avrei che da lasciarmi portare, in esso e con esso, come un relitto felice".
da Michel Foucault
giovedì 21 aprile 2011
Officina, attrezzo, manufatto
Una cassetta degli attrezzi potrebbe essere un glossario di parole significanti da declinare singolarmente, definizioni veloci da mettere in comune, declinazioni soggettive del nostro sapere.
Ne suggerisco alcune:
metodologia, linguaggio, gruppo, necessità, lavoro, attrezzi, arte, sapere...
domenica 17 aprile 2011
L’aria, l’aria, cerchiamo di vedere che cosa si può cavare da questo vecchio tema.
giovedì 7 aprile 2011
Da Nabokov
Per svolgere le sue indagini, dovette interrogare numerosi nevrotici, tra i quali artisti di varietà, letterati, e almeno tre studiosi di cosmogonia, intellettualmente lucidi ma spiritualmente "smarriti", che comunicavano tra loro per telepatia ( non si erano mai visti e non conoscevano l'uno l'esistenza dell'altro ) e avevano scoperto, non si seppe mai come né dove-grazie, forse, all'intervento di misteriose "ondule" proibite-, un mondo verde, uguale al nostro nel rapporto tra spirito e materia, che seguiva nello spazio un moto rotatorio e nel tempo un moto a spirale, e di cui i tre studiosi erano in grado di fornire gli stessi particolari, esattamente come farebbero tre persone che guardino da tre diverse finestre lo stesso corteo di carnevale.