domenica 17 aprile 2011

L’aria, l’aria, cerchiamo di vedere che cosa si può cavare da questo vecchio tema.

Come sempre il lavoro per me parte da una domanda alla quale non so rispondere, e che rivolgo ad altri cercando di rendere visibile lo stupore che ogni vera domanda presuppone.
La domanda che ha messo in moto l’idea di costituire un gruppo come il nostro è :
c’è possibilità di uscire dal proprio linguaggio, dal linguaggio ?
Sapere di no eppure porsi la questione come se fosse una possibilità, magari attraverso l’incontro di linguaggi diversi in un gioioso impeto di fuga dall’autoreferenzialità specialistica, potrebbe essere una forma di delirio di onnipotenza fondativa.
Intanto vi chiedo di provare a rispondere alla domanda, la parola pregnante su cui cominciare a riflettere come suggeriva Matteo può essere quindi linguaggio.
La fuga per quanto mirabolante non può escludere una mappa dei confini, dei limiti dai quali partire per inventare un piano di evasione.

Ma in realtà questo schermo contro il quale il mio sguardo urta, insistendo a vedervi dell’aria, non sarà piuttosto il recinto, d’una densità di grafite? Per chiarire questa faccenda avrei bisogno di un bastone, e dei mezzi per servirmene, dato che quello è ben poco in mancanza di questi, e viceversa.
Avrei anche bisogno, lo accenno di sfuggita, di participi, futuri e condizionali. Allora lo scaglierei come un giavellotto, dritto davanti a me, e saprei se ciò che mi accerchia tanto da vicino, e mi impedisce di vedere, è sempre un vuoto, oppure è un pieno, a seconda del rumore che udrei.
(S.Beckett, L'innominabile)

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