lunedì 25 aprile 2011

effetti di linguaggio

Non c’è mai niente e nessuno che segua la linea retta, né l’uomo né l’ameba, né la mosca, né il ramo, né niente di niente. Secondo le ultime notizie non la segue neppure il fascio di luce, del tutto solidale con la curva universale. (Jacques Lacan)

È dunque il movimento un curva? un ricciolo? Un ritorno? Ecco forse qua, nel ritorno, nel ritorno come effetto dell’andare, trovo il punto di ancoraggio da cui dire qualcosa sul linguaggio, o se volete su quell’andare che il lancio del giavellotto di Beckett lascia in sospeso fintantoché il rumore ritorna come indice di un sapere sul mondo, e forse sul lanciatore. Se assumiamo come unità di misura del linguaggio il significante, la distanza percorsa nel dire non è una pura successione, ma piuttosto trova in un effetto di ritorno la possibilità della sua significazione. Questo è correlativo al dire che un campo del sapere - una disciplina - ha come fondamento della sua coerenza interna un punto di eccezione. Questo punto di eccezione, fondamento del campo, è sia esterno che interno al campo stesso, è ciò su cui si regge il campo ma anche ciò che ne evidenzia il limite. I matematici lo chiamano assioma, noi psicoanalisti punto extimo, intimo ma straniero al soggetto. Non sono là dove il mio pensiero mi oggettivizza, mentre emerge ciò che sono quando non penso di pensare. Sono dove non penso, penso dove non sono. Questa scissione costitutiva instauratasi nell’umano a partire dall’atto freudiano si impone e annulla ogni tentativo di separare il razionale dall’emozionale, la forma dalla materia. Ma cosa impedisce ad un discorso di essere puro sembiante? Che abbia presa sul reale, che qui possiamo indicare come ciò che se ne infischia del nostro dire. Ma a quale reale ci rivolgiamo quando mettiamo in piedi un’esplorazione come quella di square? Qual è il soggetto dell’enunciazione? Da dove parla e quali effetti produce sui punti che delimitano il perimetro di square? Nell’enunciazione di ciascuno possiamo ritrovare la presenza di un significato che emerge proprio dall’atto di parola e in quanto tale si riversa, ricade come un boomerang, sul soggetto da cui proveniva. Se sufficientemente disposti alla meraviglia dell’incontro con il rimosso, possiamo accogliere come apertura l’effetto di quella sfasatura tra ciò che si voleva dire e ciò che è stato detto.

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